NEOREALISMO
NEOREALISMO
CENNI STORICI
In ambito cinematografico, il termine neorealismo verrà usato a partire dal 1948, anche se si è soliti attribuire all'opera di Rossellini Roma città aperta (1945) la nascita di una nuova tendenza. Sebbene il termine venne utilizzato nelle riviste dell'epoca in riferimento ai film prodotti nel secondo dopoguerra, per i registi risultava essere un'etichetta limitativa e costrittiva, incapace di rendere conto delle particolarità che li caratterizzavano. Pur rispettando i vari punti di vista dei registi, si possono comunque rintracciare degli aspetti comuni nel cinema neorealista, primo fra tutti il contesto sociale e politico in cui vengono prodotti i vari film. La Liberazione, e tutto ciò che ne seguì, risulta essere determinante per tutta la produzione cinematografica postbellica. Nel cinema postbellico, infatti, la Liberazione acquisisce un significato fondamentale, non viene ridotta a semplici frasi storiche, ma viene rappresentata in tutta la sua durata, nella difficoltà della ripartenza e nel disagio sociale che dilagava, attraverso un'adesione alla realtà che non ha eguali.
Questa dedizione al realismo viene ben espressa anche dalla scelta di attori non professionisti. Ciò che si voleva ottenere era la massima coincidenza tra attore e personaggio, tra sostanza e forma, al punto che i registi erano soliti cercare nelle vie delle città le fisionomie e le esperienze che meglio si prestavano alla storia che si voleva mostrare. Questa ricerca costante di adesione alla realtà in tutti i suoi particolari permetteva di portare sullo schermo un personaggio con il quale lo spettatore poteva rispecchiarsi pienamente. Ciò che diventa cruciale nel cinema neorealista è, infatti, la presenza, e cioè l'idea antieroica di un uomo che diventa veicolo di una quotidianità sentita come propria dallo spettatore. Proprio per questi motivi potremmo riconoscere al cinema neorealista italiano un ruolo centrale nella volontà di far intendere il cinema non come mero intrattenimento, ma come vera e propria forma di conoscenza. A tal proposito risultano emblematiche le parole di André Bazin in Che cosa è il cinema? (1999):«[…]ditemi se, uscendo dopo aver visto un film italiano, non vi sentite migliori, non avete voglia di cambiare l'ordine delle cose».
LADRI DI BICICLETTE
Ladri di biciclette (1948) viene solitamente descritto come il film che più di tutti riesce a mettere in pratica le esigenze neorealiste. La trama è molto semplice: Antonio Ricci, operaio disoccupato, riesce a trovare lavoro come attacchino. Per poter svolgere il suo lavoro ha però bisogno di una bicicletta, che l'operaio riesce con grande difficoltà a recuperare. Il primo giorno di lavoro, mentre sta attaccando un manifesto, la bicicletta viene rubata. Da quel momento inizia la ricerca del mezzo da parte di Antonio e del piccolo Bruno, suo figlio.
Sin dalle prime scene si nota come la pretesa di realtà sia essenziale per De Sica e Zavattini, infatti, è proprio attraverso questo senso di realtà che diventa possibile divulgare quel messaggio sociale che non rimane in superficie, ma è intrinseco alla storia stessa: nella società in cui vive l'operaio la povertà dilaga e nell'indifferenza di istituzioni e associazioni, i poveri sono costretti a lottare fra di loro per sopravvivere. Guardando il film noi viviamo le speranze di Antonio, ci indigniamo per la solitudine cui è costretto e lo capiamo quando a sua volta tenta di rubare una bicicletta, ma allo stesso tempo avvertiamo quella frattura che si riflette negli occhi di Bruno quando vede il padre compiere l'azione. (https://youtu.be/02OIlZDbMRQ)
Questa drammaticità e potenza nel finale viene data grazie all'abilità del regista di costruire la storia riuscendo a mantenere intatta la casualità e gli imprevisti che caratterizzano il mondo fenomenico. La bicicletta non dev'essere necessariamente non ritrovata, semplicemente può non essere ritrovata.
In questo modo un film
come Ladri di biciclette pone lo spettatore, che sia contemporaneo al
film o meno, a confronto con quel tipo di realtà possibile grazie alla quale riesce a
ripensare la società in cui vive. Lo
spettatore, privato dei convenzionali meccanismi di identificazione con un eroe
mitico e romanzesco, non viene più considerato come parte di un pubblico interessato
esclusivamente all'aspetto ludico del cinematografo, ma acquisisce un ruolo
attivo all'interno del progetto, che è così teso a rafforzarne la ricerca e la
riflessione personale.


Ladri di biciclette (Italia, 1948)
Regia: Vittorio De Sica
Soggetto: Cesare Zavattini, dall'omonimo romanzo di Luigi Bartolini
Sceneggiatura: Oreste Biancoli, Cesare Zavattini, Suso Cecchi d'Amico, Vittorio De Sica, Adolfo Franci, Gherardo Gherardi, Gerardo Guerrieri
Fotografia: Carlo Montuori
Musiche: Alessandro Cicognini
Scenografia: Antonio Traverso
Montaggio: Eraldo da Roma
Produzione: Vittorio De Sica per PDS
Cast: Lamberto Maggiorani (Antonio Ricci), Enzo
Staiola (Bruno Ricci)
